È online l’ultimo numero di Officina, trimestrale di architettura, tecnologia e ambiente edito da Anteferma e diretta da Emilio Antoniol. Il numero 32 affronta il tema del vuoto, con il contributo di giovani professionisti e ricercatori. Partendo dall’intervista con Arianna Mion, abbiamo colto l’occasione per fare il punto sullo stato di avanzamento di Periferica, anche alla luce delle ultime dinamiche figlie della pandemia.
[Trovate l’articolo originale sul sito di Officina]
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Rinascita Periferica
Un modello di rigenerazione urbana partecipata e luogo di riscatto territoriale
Scenario
In 2013 in the periphery of Mazara del Vallo a group of young people decided to restore an abandoned place, previously tuff quarry and kindergarten, now known as Periferica, for starting a process of urban regeneration. Through the years, the structure has been able to welcome as many as international and local hosts and projects of all kinds, always promoting and innovating the territory even within challenging times such as the ones of lockdown caused by Covid-19. As time passes, Periferica itself has changed so much to become also an example of policy making for fighting inequalities. Today, the space hosts their professional studio, with a permanent research on urban regeneration and social innovation.
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Per voi, cosa significa periferia?
Laboratorio di ricerca, design e prototipazione per la città e i cittadini di domani. Oggi, l’80% delle persone vive in contesti di marginalità urbane, sociali ed economiche. Rispondere ai loro problemi con un approccio interdisciplinare, portare queste istanze al centro del futuro è la missione che portiamo avanti da anni dalla nostra piccola base in Sicilia. Oggi c’è bisogno di nuove soluzioni, attori e processi, per questo anni fa abbiamo deciso di portare il tema delle periferie sul terreno della giustizia sociale, sperimentando nuove pratiche potenzialmente replicabili, ideando, sviluppando e facilitando processi generativi di creatività urbana a partire dal nostro spazio dismesso a Mazara del Vallo.
Periferia poi, è un termine contenitore: è periferico ciò che è lontano dal centro. Ma qual è il centro? Quello dei servizi, delle economie, delle opportunità? O quello del paesaggio, delle umanità, della contemplazione? Periferia e centro, per dirla come Harari, sono realtà immaginate: parole che abbiamo inventato per decodificare la realtà e che assumono connotazioni diverse a seconda del sistema di riferimento, della nostra storia. Io sono nato nella periferia di una piccola città, eppure me ne sono accorto solo viaggiando, esplorando e capendo come misurarne le differenze con altri contesti. Da abitante non ho mai pensato alla periferia come una condanna, piuttosto come un punto di vista privilegiato per apprezzare l’essenza delle cose, come in tutti i contesti di povertà. Questa visione romantica non si scontra con le situazioni di degrado, povertà e disuguaglianza, ma ne riconosce lo straordinario potenziale di resilienza.
Infine, periferia è narrazione. Negli ultimi anni siamo stati sommersi da una iper-produzione di contenuti culturali nati su-e-attraverso l’interpretazione delle realtà marginali del nostro paese, spesso con tutte le controproducenti semplificazioni della comunicazione di massa. E l’idea che possa esistere un modello, una formula magica perfettamente replicabile in ogni territorio, rischia non solo di ignorare la reale unicità delle città in cui viviamo, ma di risolvere i problemi in cosmetici esercizi di stile. Esistono invece metodi, pratiche, fallimenti da cui imparare.
Oggi in Periferica adottiamo quella che potremmo chiamare la bussola della rigenerazione, uno strumento che cala gli obiettivi di Agenda Urbana all’interno dei territori in cui operiamo. Quattro azioni cardinali – ripensare i patrimoni, aprire i luoghi, potenziare le persone, centralizzare i margini – attraverso cui orientiamo la nostra azione progettuale e di ricerca.
Rigenerare significa riconoscere lo spazio urbano quale complesso sistema di interazione tra luoghi e persone, non limitato alla sfera immobiliare ma articolato in contesti, modificabile solo con un approccio olistico, multidisciplinare e partecipativo, bilanciando architettura dei luoghi e dei processi. Su questo approccio abbiamo sviluppato la maggior parte dei nostri format e progetti, dalla valorizzazione del sistema delle cave di Mazara del Vallo, alla progettazione di soluzioni partecipate per soggetti pubblici.
Abbiamo affrontato il tema del patrimonio attraverso il progetto Evocava, dove grazie a Fondazione Unipolis abbiamo avviato un processo di valorizzazione delle cave di Mazara; il tema dei luoghi attraverso diversi format, dai concorsi di Micro-Architettura (10m²) alla summer school annuale (Periferica Festival), la creazione del Community Hub (Casa Periferica) finanziata dal MiBAC attraverso Creative Living Lab; dell’empowerment attraverso il contrasto alla povertà educativa (Parco Elementare) e l’incontro tra artigiani e designer (Format-laboratorio formativo per l’innovazione); delle marginalità attraverso attività di mappatura e ri-narrazione (#periferici). Di recente abbiamo lavorato su Urbana, un progetto open data di mappatura degli immobili comunali in grado di connettere patrimonio, creativi ed opportunità anche internazionali, in collaborazione con il Comune di Mazara.
Da cosa è stato caratterizzato e come è stato strutturato il percorso che ha portato alla messa in atto del “riempimento” architettonico e socio-culturale del precedente “vuoto” che contraddistingueva l’attuale spazio di Periferica?
Partiamo dalla compagine organizzativa: siamo nati nel 2013 con Corda, un’associazione culturale che aveva Periferica come progetto principale; nel 2015 apriamo una cooperativa a seguito della vittoria di Boom-Polmoni Urbani, un format ideato da Andrea Bartoli (e finanziato dai parlamentari del M5S Sicilia) per la nascita di nuovi processi di rigenerazione urbana. Nel 2020 inizia la nostra attività di studio professionale per soggetti pubblici e privati. Tre fasi in cui la vittoria di bandi nazionali (e, quindi, anche l’accesso al credito) ci ha permesso di sperimentare, coinvolgere, riattivare.
Casa Periferica, lo spazio che abbiamo in gestione, è stato rigenerato e oggi ospita il nostro studio, il museo delle cave, il parco culturale e fra qualche mese ospiterà nuovi servizi (l’Aula, il Mercato, e la Portineria) in grado di ri-configurarlo come uno spazio a servizio della comunità.
Dal 2013, centinaia di creativi, professionisti e artisti sono passati da Periferica. In questo lento processo di crescita e condivisione abbiamo potuto sperimentare tutto ciò che a che fare oggi con i processi partecipativi di co-design, co-progettazione e rigenerazione urbana partendo da un luogo completamente dismesso. Per produrre più soluzioni possibili e mantenere allo stesso tempo un alto livello d’intervento, siamo passati dal design dei luoghi al design dei format per rigenerarli collettivamente. Si è scelto di optare per tre format: il Festival e summer school, che ogni anno ospita cento persone per dieci giorni; un programma di mobilità artistica (Ricreazioni) attraverso il quale sono state svolte diverse residenze; e sicuramente Dieci Metri Quadri, un format attraverso cui abbiamo raccolto centinaia di proposte di micro-architettura finalizzate alla nascita di nuovi servizi.
Visto con occhi più maturi, posso dire che se potessi tornare indietro ciò che cambierei è sicuramente l’attenzione posta da parte nostra al di fuori di questi format.
Erroneamente, abbiamo pensato che il territorio e le compagini amministrative, economiche, sociali e culturali fossero pronte a quello che avevamo immaginato.
Confrontandoci con altri operatori, ci siamo resi conto di quanto questa circostanza fosse onnipresente in tutta Italia.
Riuscire a spingere l’interesse degli attori politici verso le attuali pratiche di rigenerazione urbana è anche uno dei motivi per il quale è nato Rigenerata, un manifesto e patto di cultura urbana, presentato agli ultimi candidati a sindaco di Mazara durante le scorse elezioni. Misurare la preparazione dei soggetti politici, prepararli ad un reale percorso di cambiamento, promuovere i servizi che organizzazioni come la nostra possono offrire è forse la sfida culturale più grande che possiamo cogliere.
Che rapporto pensiate sussista tra coloro che si occupano di rigenerazione urbana e il cambiamento?
Nel corso dell’opera, è quest’ultimo identificabile più come una fonte di stimolo o in certe circostanze, arriva quasi paradossalmente a rappresentare un ostacolo?
Sappiamo quanto la rigenerazione urbana rientri in una più larga definizione di innovazione sociale. Finora, l’abbattimento dei muri settoriali, l’ibridazione dei percorsi professionali e la nascita diffusa di laboratori territoriali hanno permesso di introdurre nuovi sistemi e metodi all’interno delle attività di trasformazione urbana. Questo non è un traguardo, ma solo il primo passo di un processo d’innovazione. Siamo ancora in un periodo che definirei Paleoregenetico e questo è dimostrato non solo dall’alto indice di mortalità dei progetti nati finora nei territori da dieci anni a questa parte, ma dall’ancora insufficiente riconoscimento istituzionale.
Credo poi che oggi, in Italia, ci sia un problema di misurazione degli impatti sui territori, con il risultato di non facilitare la reale distinzione tra ciò che va classificato come unico e ciò che può rientrare nel replicabile. Il risultato è un ranking distorsivo, basato sulla reputazione anziché sul reale cambiamento generato. Credo sia il più grande elefante nella stanza (anzi, nella strada) che operatori, soggetti economici e talvolta filantropici si rifiutano di vedere. L’innovazione, a parer mio deve sempre essere relativa rispetto al contesto, alle risorse, agli obiettivi e i traguardi di un dato progetto. Infine, è giusto dire che il cambiamento non è sempre positivo, poiché entrano in gioco elementi (soggetti, obiettivi, modalità, processi, etc.) che anche con le migliori premesse possono determinare una regressione.
In Periferica abbiamo sempre cercato di lavorare in un’ottica incrementale, inclusiva e generativa nei confronti dei pubblici a cui ci stavamo rivolgendo. Partendo dal dato, abbiamo sviluppato progettualità legate al territorio, relative alle strutture organizzative, gestionali, sociali e culturali, cercando di mantenere un approccio olistico e migliorativo senza andare a stravolgere gli equilibri con cui già entriamo in contatto. Sia perché il tipo di intervento che vogliamo proporre spesso è una novità e non necessariamente anche un’innovazione, sia perché si ha a che fare con un sistema che di per sé può funzionare senza che tu, rigeneratore urbano, esista. Sono d’accordo con Ilda Curti quando scrive che per fare rigenerazione urbana bisogna tendere all’inutilità, e comprendere che il processo che ha portato avanti è stato in grado di generare un nuovo equilibrio il quale non ha bisogno di nessun intermediario per proseguire.
Globale e locale: s’incontrano o si scontrano? Indubbiamente, Casa Periferica è uno spazio avente una portata globale data anche dalla presenza di artisti internazionali nei vari eventi, tra i quali spicca l’annuale Festival. Qual è stata e qual è tuttora la relazione con la comunità locale?
Se la comunità si incontra o si scontra dipende anche dalla qualità del lavoro che facciamo, dato che il nostro ruolo è anche quello di far quadrare le istanze. La comunità globale ha sempre risposto oltre alle aspettative, sia in termini di partecipazione che di dedizione. Abbiamo sempre stimolato l’ibridazione dei processi di produzione al fine di arrivare a risultati misurabili e utili principalmente alla comunità locale. Periferica è divenuta nel tempo una piattaforma per lo scambio di competenze professionali tra la comunità locale e quella creativa, non sempre scontata. Vi porto un’esperienza: durante la sesta edizione del festival, nel 2019, fu inserito un laboratorio di community building con l’obiettivo di lavorare sulle relazioni sociali con il quartiere, replicando una serie di metodi (già utilizzati con successo altrove) per raccogliere alcuni dati coinvolgendo la comunità locale; però purtroppo il risultato non andò come previsto.
Proprio per questo, con il community hub cercheremo di rivolgerci nuovamente a quei pubblici che si sono creati la prima volta.
Il senso di vuoto causato dalle disposizioni per il Coronavirus che effetto ha avuto su Periferica, luogo geografico dove l’incontro fisico tra gli individui è esso stesso causa ed effetto di azioni concrete a forte valenza territoriale?
Non essendo possibile programmare un’apertura degli spazi, abbiamo sperimentato. Il risultato è stato I am the virus, il primo progetto di ricerca artistica che ho svolto da solo, dove degli artisti sono stati invitati a produrre, attraverso un avatar che ero io, delle creazioni all’interno di Periferica. Ciò è avvenuto con tutti le limitazioni del caso, dato che io né ho mai tenuto in mano un pennello, né ho mai girato un film. Si voleva misurare tutti i limiti o le opportunità dei nostri attuali sistemi di comunicazione, perciò tutto ciò che il virtuale, in un momento di estrema urgenza, ci poteva mettere a disposizione. Sono nate nuove domande: di chi è l’opera finale? Che valore ha la co-produzione in un momento in cui non è possibile lavorare insieme? Che fine fanno i luoghi culturali o i centri di aggregazione attuali? Che opportunità ci possono essere in questo momento in cui si possono usare solo gli strumenti digitali? Quindi ciò che è emerso è l’opera come processo di produzione, non tanto l’opera in sé.
Secondo voi, il vostro progetto potrà agire e servire come modello di policy making per le istituzioni nel contrasto alle disuguaglianze?
Con le dovute differenze, potrebbe essere d’esempio. Rigenerata è in qualche modo il primo strumento che noi abbiamo immaginato, ma che in realtà anticipava nei contenuti e nei metodi ciò che adesso andremo a sviluppare con il community hub. In quest’ultimo porteremo lavoro e sperimenteremo rispetto a quello che può essere l’opportunità di processi di policy making all’interno dei percorsi di rigenerazione urbana e di inclusione sociale. Credo che potremo farlo solo dopo aver lavorato in maniera approfondita e senza riserve su quello che i nostri territori sono in grado di darci. Bisogna rendersi conto del contesto in cui si opera prima ancora di porsi degli obiettivi. Secondo me, questo può sicuramente succedere in tutte le realtà mature e disposte a lavorare in tale senso.
[Trovate l’articolo originale sul sito di Officina]